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COMMENTI: SOCIETA' MISTE

Diritto e Pratica delle Società

Il Sole – 24 Ore

Verso la neutralità del modello
societario: la società mista

di Marco Levis, dottore commercialista
e carlo Manacorda, docente di Contabilità pubblica, università degli Studi di Torino

La società mista è la forma organizzativa prevalente per la gestione dei servizi pubblici locali. Tuttavia la specialità di tale schema cocietario comporta l'emergere di annose problematiche. rispetto ai tradizionali modelli civilistici, infatti, esso presenta differenze tali da complicare la definizione giuridica.

Come è noto, il D. Lgs. n. 6/2003, emanato in attuazione della legge delega n. 366/2001, ha riformato in maniera organica la disciplina delle società di capitali e delle società cooperative. Parallelamente ha trovato spazio autonomo un modello societario particolare, che è regolato soltanto in parte dalle norme civilistiche, mentre segmenti rilevanti della sua organizzazione appartengono all'area pubblicistica.
Si tratta della società mista che, ancorchè non sconosciuta al nostro ordinamento, è stata rivitalizzata dall'art. 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e dall'art. n. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, come ulteriore forma organizzativa per la gestione dei servizi pubblici locali, in aggiunta agli altri modelli dell'economia, della concessione, dell'azienda speciale e dell'istituzione.

Il consolidamento del modello societario misto per la gestione dei servizi pubblici locali, e la sua progressiva estensione anche ad altre esigenze delle amministrazioni pubbliche, richiedono qualche annotazione aggiuntiva sull'argomento, con il fine di evidenziare i tratti che maggiormente differenziano il modello societario misto da quello tradizionale di fonte civilistica.

Caratteristiche generali

In estrema sintesi, la società mista presenta le seguenti ca­ratteristiche generali:

  • la sua costituzione può avve­nire soltanto per iniziativa di un soggetto pubblico;

  • la ricerca del socio o dei soci privati deve avvenire seguen­do le procedure dell’evidenza pubblica, utilizzando le meto­dologie della gara pubblica pre­viste per la stipulazione di con­tratti da parte delle ammini­strazioni pubbliche;

  • l’ente pubblico promotore deve avere propri rappresentanti negli organi sociali, poi­ché la presenza del capitale pubblico e il perseguimento di finalità pubbliche non consen­tono di affidare la gestione sol­tanto ai soggetti privati;

  • esiste una particolare situa­zione di privilegio per cui, di regola, la società mista diviene automaticamente affidataria dell’attività da svolgere per conto dell’amministrazione pubblica che ne ha promosso la costitu­zione

Nascita della società mista: la privatizzazione della pubblica amministrazione

La società mista è un’espres­sione del processo di privatiz­zazione, o di depubblicizzazione, avviato negli anni no­vanta, che ha investito molti settori della pubblica ammini­strazione.

Ancorché possa considerarsi un’evoluzione delle aziende municipalizzate, la società mista nasce sulla base di motivazioni proprie, correlate alla crisi del Welfare State.
Si ipotizza che il ricorso alla società mista possa consentire il raggiungimento di un dupli­ce obiettivo: imprimere mag­giore efficienza ed economici­tà all’attività amministrativa e ridurre la spesa pubblica attra­verso il concorso del capitale privato.

Inoltre, tale formula societaria coinvolge maggiormente gli amministratori, che non rispondono soltanto per gli atti alla cui adozione hanno parte­cipato con il proprio voto fa­vorevole, ma risultano respon­sabili per l’intera gestione non oculata, dolosa o colposa, della società e, in caso di per­dite, devono assumere i prov­vedimenti di carattere straor­dinario previsti dalla norma civilistica, senza attendere in­terventi di ripiano da parte dell’ente pubblico che parteci­pa alla società.

La società mista, dunque, dà luogo a un nuovo tipo di so­cietà con caratteristiche pro­prie. Se in precedenza la capa­cità giuridica di diritto priva­to - che gli enti pubblici pos­siedono accanto a quella di di­ritto pubblico - consentiva lo­ro di partecipare, generica­mente, a società di capitali, ora è lo stesso legislatore che propone il modello societario per l’esercizio dei servizi pub­blici e richiede l’iniziativa dell’ente pubblico per attuarlo in concreto.

Questo avviene, per la prima volta, nell’ambito della già ci­tata legge n. 142/1990 (art. 22) per la gestione dei servizi pubblici locali, ma la proposta è fatta anche successivamente per altri settori o attività: per esempio per l’area sanitaria, nell’ambito delle c.d. sperimentazioni gestionali (art. 9-bis, D.Lgs. n. 502/1992) e per la costituzione delle società di trasformazione urbana (Stu) (art. 17 e 59, legge n. 127/1997).
Se queste sono le ragioni della nascita della società mista, il primo problema che si pone è la definizione della natura giuridica di questo organismo.

La specialità di tale modello societario

La società mista rappresenta un modello societario speciale al cui interno devono convivere lo scopo di lucro, proprio dello schema privatistico, e il perseguimento dell'interesse pubblico, finalità primaria dell'attività svolta dall'organismo societario creato.
La società mista diventa quindi espressione del c.d. processo di neutralizzazione dello schema societario poiché questo schema tipicamente privatistico assume, in questo caso, connotazioni pubblicistiche.

D'altro canto, è lo stesso legislatore che supera l'ipotesi che il modello societario sia soltanto uno schema privatistico allorché, per legge, autorizza la costituzione di società di capitali per il perseguimento di finalità di interesse della pubblica amministrazione, società totalmente possedute dallo Stato o da enti pubblici.

La natura giuridica

Considerata la specialità della società mista, occorre ora definirne la natura giuridica.
Dopo alcune pronunce della giurisprudenza civile che hanno sostenuto la natura privatistica della società mista, si è formata un'ampia giurisprudenza amministrativa che ne ha riconosciuto la natura pubblicistica. Vediamo, in sintesi, questi orientamenti giurisprudenziali.

Con sentenza 6 maggio 1995, n.4989, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, ha affermato che la s.p.a. deputata alla gestione dei servizi pubblici locali, pur se a prevalente partecipazione pubblica, costituisce un soggetto di diritto privato del tutto distinto dall'amministrazione pubblica.

Ne consegue che la scelta del­la controparte non è soggetta alla procedura dell’evidenza pubblica e che le relative controversie rientrano nella giuri­sdizione del giudice ordina­rio.

Di diverso avviso è sempre stata la giurisprudenza amministrativa la quale, anche sul­la scorta della normativa comunitaria in materia di sog­getti tenuti ad applicare le procedure dell’evidenza pubblica per l’aggiudicazione di gare di appalto, e sottolineando che gli organismi che perseguono finalità pubblicistiche hanno natura pubblica, ha osservato che dottri­na e giurisprudenza, dopo un iniziale contrasto tra i fautori della tesi privatistica delle s.p.a. a partecipazione pubblica e quelli della tesi pubblici­stica, si sono orientate nel sen­so di escludere che la sempli­ce veste formale di s.p.a. sia idonea a trasformare la natura pubblicistica di soggetti che, in mano al controllo maggioritario dell’azionista pubblico, continuano ad essere affidatari di rilevanti interessi pubblici.

Questa tesi, oggi prevalente, si riflette direttamente:

  • sul metodo da seguire per la ricerca dei soci;

  • sui controlli pubblicistici che devono essere esercitati sulla gestione della società;

  • sull’individuazione dell’organo giurisdizionale competente in caso di controversie;

  • sulla qualificazione degli amministratori (privati ammi­nistratori, pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio), non ininfluente nel tratto penalistico (reati contro la pubblica amministrazione) o giuscontabilistico (responsabilità ammi­nistrativa e contabile).

La ricerca dei soci

Si è detto che la società mista può costituirsi soltanto per iniziativa di un’amministrazione pubblica. Il legislatore di­stingue, inoltre, tra società mista con capitale pubblico maggioritario e società mista con capitale pubblico minoritario. Per quest’ultima situazione, il D.P.R. 16 settembre 1996, n. 533 (“Regolamento sulla costituzione delle società miste in materia di servizi pubblici degli enti territoriali”) ha dettato norme puntuali per la ricer­ca del socio o dei soci privati di maggioranza.

La mancanza di una normativa per la costituzione di una società mista con capitale pubblico maggioritario aveva fatto ritenere che, per la stessa composizione del capitale, la scelta degli altri soci privati potesse avvenire senza procedure concorsuali. La giurisprudenza è stata ed è di avviso contrario. Essa ha infatti chiarito che la scelta del socio nella formazione delle società di capitali preordinate alla gestione di pubblici servizi deve seguire le procedure ad evidenza pubblica, non soltanto nel caso in cui la partecipazio­ne pubblica al capitale sia minoritaria, ma anche quando l’ente partecipi alla società in posizione dominante.

La ragione del chiarimento risiede nel fatto che i principi concorrenziali devono considerarsi immanenti nell’ordinamento tutte le volte in cui si debba effettuare la scelta di un operatore privato che, tra l’altro, deve essere un socio imprenditore per svolgere attività per conto e nell’interesse della pubblica amministrazione.

I controlli pubblicistici sulla gestione

L’art. 100, comma 2, Cost. dispone che la Corte dei conti «partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo della gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria», e prevede l’obbligo, per la stessa Corte, di riferire «direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito».

La legge 21 marzo 1958, n. 259 («Partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria»), ha dato attuazione a questo precetto costituzionale, individuando e disciplinando due tipi di controllo: il primo riferito agli enti indicati nella stessa legge cui lo Stato o un'altra amministrazione pubblica conferiscano contributi con carattere di periodicità da oltre un biennio, o attribuiscano un potere impositivo, e il secondo riguardante gli enti pubblici nei cui confronti i predetti soggetti « contribuiscano con apporto al patrimonio in capitale, servizi o beni, ovvero mediante concessione di garanzia finanziaria».
Nell’una e nell’altra ipotesi, la Corte è tenuta a riferire alle Camere i risultati del controllo eseguito. La vigenza della legge n. 259/1958 è stata confermata dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20 («Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti»). Tenendo conto della seconda ipotesi configurata dalla legge n. 259/1958, si può concludere che la Corte dei conti deve esercitare il proprio controllo anche sulle società miste, secondo le norme del proprio ordinamento.

La giurisdizione per le società miste

Per la sua natura speciale, il tema della giurisdizione sulle controversie nelle quali sia parte una società mista deve essere affrontato da un tripli­ce punto di vista:

  1. avendo riguardo alla società mista nel momento in cui agisce in qualità di pubblica amministrazione, nel qual caso la giurisdizione compete al giudice amministrativo;

  2. guardando alla società mista come soggetto disciplinato anche da norme del diritto comune, nel qual caso la giurisdizione compete al giudice ordinario;

  3. tenendo conto delle responsabilità pubblicistiche che possono essere addebitate a coloro che operano nella società mista, con un rapporto di servizio, nel qual caso la giurisdizione compete alla Corte dei conti.

La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

La questione della competenza giurisdizionale quando la società mista agisce in qualità di pubblica amministrazione trova il proprio riferimento nell’art. 33 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80. Nella stesura sostitutiva introdotta dall’art. 7 della legge 21luglio 2000, n. 205 (“Disposizioni in materia di giustizia amministrativa”), la norma dispone che «Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481. 

Tali controversie sono, in particolare, quelle:

  1. concernenti l’istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le azien­de speciali, le istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione urbana;

  2. tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi;

  3. in materia di vigilanza e di controllo nei confronti di gestori di servizi pubblici;

  4. aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti all’applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale;

  5. riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a cose e delle controversie in materia di invalidità».

La stessa legge n. 205/2000 stabilisce all’art. 6 che: «Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale». Prima dell’emanazione di queste norme, non era pacifico se le controversie nelle quali fosse parte una società mista dovessero essere devolute al giudice ordinario o amministrativo. Va anzi detto che, sulla base di ripetute pronunce della Corte di Cassazione che ritenevano la società mista soggetto di natura privatistica, prevaleva la tesi della competenza del giudice ordinario.

Le evoluzioni interpretative intervenute in ordine alla natura giuridica delle società miste, in special modo tenendo conto della legislazione comunitaria che ha introdotto la figura dell’organismo pubblico, hanno facilitato l’ipotesi poi consolidatasi nel decreto legislativo n. 80/1998 e nella legge n. 205/2000.

Tenendo conto di quanto stabilito dalle norme citate, i casi di intervento del giudice amministrativo possono riguardare le procedure per la scelta dei soci ai fini della costituzione della società e le procedure di gara poste in essere dalla società mista per l’acquisto di beni e di servizi, ovvero per l’esecuzione di opere.

Il giudice amministrativo ha, inoltre, competenza esclusiva quando la società sia costituita soltanto tra soggetti pubblici, e anche nel caso in cui la controversia riguardi l’atto costitutivo, a differenza di quanto avviene quando alla composizione del capitale partecipino soggetti pubblici e privati.

La doppia giurisdizione

Il duplice riferimento normativo della società mista porta, tuttavia, a dover configurare una duplice giurisdizione per i fatti che la vedono protagonista. Viene qui in causa la distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo, per cui in presenza del primo la competenza è del giudice amministrativo, mentre per il secondo la competenza è del giudice ordinario.

Si è, inoltre, affermato che l’art. 33, lett. a), D.Lgs. n. 80/1998 (non modificato sul punto dalla legge n. 205/ 2000, e quindi esattamente reintrodotto da tale legge a seguito di pronuncia di incostituzionalità), nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie concernenti, tra l’altro, l’istituzione, la modificazione o l’estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le società di capitali, va riferito alle sole procedure pubblicistiche (appunto di istituzione, modificazione o estinzione), dovendosi escludere ogni interferenza del giudice predetto in questioni di stretta attinenza di diritto societario. Esulano pertanto dall’ambito del potere cognitorio del giudice amministrativo le controversie privatistiche inerenti alle vicende del contratto sociale.

 

Qualificazione e responsabilità degli operatori della società mista

Un ulteriore problema riguarda la qualificazione dei soggetti che operano nella società mista e le responsabilità loro imputabili in funzione dell’attività svolta.

La prima delle questioni si collega al nuovo modo di concepire l’attività amministrativa pubblica. Il criterio soggettivo, per cui è pubblica l’attività amministrativa posta in essere da soggetti pubblici, è stato infatti sostituito dal criterio oggettivo, in base al quale è pubblica l’attività che consiste nello svolgimento di una pubblica funzione o di un pubblico servizio, a prescindere dal soggetto che la compie, che può essere indifferentemente pubblico o privato.

Ciò che rileva è la funzionalizzazione dell’attività al soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale. Se così è, anche l’attività della società mista è attività pubblica in quanto finalizzata all’esercizio di un servizio pubblico, a prescindere dal fatto che, per talune questioni, faccia riferimento a normative di ordine civilistico.

Sul piano normativo, queste considerazioni trovano punti di riferimento inequivocabili nel già richiamato art. 33 del D.Lgs. n. 80/1998, come ripreso dalla legge n. 205/2000, laddove si fa riferimento a «gestori comunque denomi­nati di pubblici servizi».

L’introduzione della nozione oggettiva di attività amministrativa reca alcune conseguenze non indifferenti sia per quanto concerne l’acquisizione delle qualifiche di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio e, quindi, per le responsabilità che possono fare carico a queste due posizioni, sia relativamente al concetto di rapporto di servizio.

Se, come prevede il Codice penale agli artt. 357 e 358, è pubblico ufficiale colui che esercita una pubblica funzione, mentre è incaricato di pubblico servizio colui che presta un pubblico servizio, assumono questa qualificazione tutti coloro che agiscono in nome e per conto di un ente (pubblico o privato) che svolga una pubblica funzione o un servizio pubblico. Rientrano, quindi, in queste categorie coloro che operano per una società mista.

Per quanto concerne il rapporto di servizio, non è necessario che esista un vero e proprio rapporto di impiego o di dipendenza, perché ciò che conta è lo svolgimento di un’attività amministrativa funzionale al conseguimento delle finalità pubbliche dell’amministrazione per la quale si opera.

In sintesi, come ha sottolineato la giurisprudenza, per affermare l’esistenza di un rapporto di servizio tra un agente e un’amministrazione pubblica, è sufficiente che esista un rapporto di obbligo giuridico (che è, quindi, anche il caso degli operatori delle società miste).

Se, dunque, coloro che operano, nell’ambito di una società mista, con un rapporto di servizio nei termini appena descritti, assumono la veste di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, ne consegue che le loro responsabilità sono le stesse che possono fare capo a queste figure. Giusto, quindi, anche quanto previsto dall’art. 28 Cost., in caso di comportamento non conforme alla legge essi incorrono nelle responsabilità penale, civile e amministrativa. Essi incorrono inoltre nella responsabilità contabile qualora, così come previsto per i dipendenti pubblici, avendo maneggio di denaro o di valori, ne facciano un uso non conforme a legge (art. 74, R.D. n. 2440/1923 legge di contabilità generale dello Stato; art. 55, D.Lgs. n. 165/2001 - Testo unico sul pubblico impiego).

L’art. 103 Cost. recita: «La Corte dei conti ha giurisdizione in materia di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge».

Poiché le responsabilità amministrativa e contabile riguardano fatti afferenti all’area contabile pubblica, sussiste una giurisdizione esclusiva della Corte dei conti al riguardo, esperibile nei confronti di tutti coloro che, operando con un rapporto di servizio nei termini prima precisati presso un organismo pubblico, cagionino un danno (art. 52, R.D. n. 1214/1934 -  «Testo unico delle leggi sull’ordinamento della Corte dei conti»).

In altre parole, la giurisdizione del giudice contabile sussiste tutte le volte in cui tra l’autore del danno e l’amministrazione o ente pubblico danneggiato sia ravvisabile un rapporto, non solo di impiego in senso proprio e ristretto, ma anche di servizio, per quest’ultimo intendendosi la sussistenza di una relazione funzionale caratterizzata dall’inserimento del soggetto nell’iter procedimentale o nell’apparato organico dell’ente, tale da rendere il primo compartecipe dell’attività amministrativa del secondo.

Considerazioni conclusive

Quanto esposto in merito ai tratti pubblicistici che si rinvengono nella società mista, è sufficiente a dimostrare come lo schema societario perda le sue caratteristiche tradizionali e assuma, in questi casi, una posizione di neutralità.

Ulteriori elementi rafforzativi in questo senso deriverebbero anche dalla disamina degli atti occorrenti per pervenire alla costituzione della società, per ragioni di spazio qui non consentita.
Non rientra negli scopi dello scritto l’esame degli elementi di natura privatistica rinvenibili nella società mista.
Anche da ciò, peraltro, potrebbero derivare ulteriori conferme in merito alla fondatezza dell’assunto di cui si è dibattuto.

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