Come
è noto, il D. Lgs. n. 6/2003, emanato in attuazione della legge
delega n. 366/2001, ha riformato in maniera organica la disciplina
delle società di capitali e delle società cooperative.
Parallelamente ha trovato spazio autonomo un modello societario
particolare, che è regolato soltanto in parte dalle norme
civilistiche, mentre segmenti rilevanti della sua organizzazione
appartengono all'area pubblicistica.
Si tratta della società mista che, ancorchè non sconosciuta al
nostro ordinamento, è stata rivitalizzata dall'art. 22 della legge
8 giugno 1990, n. 142 e dall'art. n. 35 della legge 28 dicembre
2001, n. 448, come ulteriore forma organizzativa per la gestione dei
servizi pubblici locali, in aggiunta agli altri modelli
dell'economia, della concessione, dell'azienda speciale e
dell'istituzione.
Il consolidamento del modello
societario misto per la gestione dei servizi pubblici locali, e la
sua progressiva estensione anche ad altre esigenze delle
amministrazioni pubbliche, richiedono qualche annotazione aggiuntiva
sull'argomento, con il fine di evidenziare i tratti che maggiormente
differenziano il modello societario misto da quello tradizionale di
fonte civilistica.
Caratteristiche
generali
In
estrema sintesi, la società mista presenta le seguenti caratteristiche
generali:
-
la
sua costituzione può avvenire soltanto per iniziativa di un
soggetto pubblico;
-
la
ricerca del socio o dei soci privati deve avvenire seguendo le
procedure dell’evidenza pubblica, utilizzando le metodologie
della gara pubblica previste per la stipulazione di contratti
da parte delle amministrazioni pubbliche;
-
l’ente
pubblico promotore deve avere propri rappresentanti negli organi
sociali, poiché la presenza del capitale pubblico e il
perseguimento di finalità pubbliche non consentono di
affidare la gestione soltanto ai soggetti privati;
-
esiste
una particolare situazione di privilegio per cui, di regola,
la società mista diviene automaticamente affidataria
dell’attività da svolgere per conto dell’amministrazione
pubblica che ne ha promosso la costituzione
Nascita della società mista:
la privatizzazione della
pubblica amministrazione
La
società mista è un’espressione del processo di privatizzazione,
o di depubblicizzazione, avviato negli anni novanta, che ha
investito molti settori della pubblica amministrazione.
Ancorché
possa considerarsi un’evoluzione delle aziende municipalizzate, la
società mista nasce sulla base di motivazioni proprie, correlate
alla crisi del Welfare State.
Si ipotizza che il ricorso alla società mista possa consentire il
raggiungimento di un duplice obiettivo: imprimere maggiore
efficienza ed economicità all’attività amministrativa e
ridurre la spesa pubblica attraverso il concorso del capitale
privato.
Inoltre,
tale formula societaria coinvolge maggiormente gli amministratori,
che non rispondono soltanto per gli atti alla cui adozione hanno
partecipato con il proprio voto favorevole, ma risultano responsabili
per l’intera gestione non oculata, dolosa o colposa, della società
e, in caso di perdite, devono assumere i provvedimenti di
carattere straordinario previsti dalla norma civilistica, senza
attendere interventi di ripiano da parte dell’ente pubblico che
partecipa alla società.
La
società mista, dunque, dà luogo a un nuovo tipo di società con
caratteristiche proprie. Se in precedenza la capacità giuridica
di diritto privato - che gli enti pubblici possiedono accanto a
quella di diritto pubblico - consentiva loro di partecipare,
genericamente, a società di capitali, ora è lo stesso
legislatore che propone il modello societario per l’esercizio dei
servizi pubblici e richiede l’iniziativa dell’ente pubblico
per attuarlo in concreto.
Questo
avviene, per la prima volta, nell’ambito della già citata legge
n. 142/1990 (art. 22) per la gestione dei servizi pubblici locali,
ma la proposta è fatta anche successivamente per altri settori o
attività: per esempio per l’area sanitaria, nell’ambito delle
c.d. sperimentazioni gestionali (art. 9-bis, D.Lgs. n. 502/1992) e
per la costituzione delle società di trasformazione urbana (Stu)
(art. 17 e 59, legge n. 127/1997).
Se queste sono le ragioni della nascita della società mista, il
primo problema che si pone è la definizione della natura giuridica
di questo organismo.
La
specialità di tale modello societario
La
società mista rappresenta un modello societario speciale al cui
interno devono convivere lo scopo di lucro, proprio dello schema
privatistico, e il perseguimento dell'interesse pubblico, finalità
primaria dell'attività svolta dall'organismo societario creato.
La società mista diventa quindi espressione del c.d. processo di
neutralizzazione dello schema societario poiché questo schema
tipicamente privatistico assume, in questo caso, connotazioni
pubblicistiche.
D'altro
canto, è lo stesso legislatore che supera l'ipotesi che il modello
societario sia soltanto uno schema privatistico allorché, per
legge, autorizza la costituzione di società di capitali per il
perseguimento di finalità di interesse della pubblica
amministrazione, società totalmente possedute dallo Stato o da enti
pubblici.
La
natura giuridica
Considerata
la specialità della società mista, occorre ora definirne la natura
giuridica.
Dopo alcune pronunce della giurisprudenza civile che hanno sostenuto
la natura privatistica della società mista, si è formata un'ampia
giurisprudenza amministrativa che ne ha riconosciuto la natura
pubblicistica. Vediamo, in sintesi, questi orientamenti
giurisprudenziali.
Con
sentenza 6 maggio 1995, n.4989, la Corte di Cassazione, Sezioni
Unite civili, ha affermato che la s.p.a. deputata alla gestione dei
servizi pubblici locali, pur se a prevalente partecipazione
pubblica, costituisce un soggetto di diritto privato del tutto
distinto dall'amministrazione pubblica.
Ne
consegue che la scelta della controparte non è soggetta alla
procedura dell’evidenza pubblica e che le relative controversie
rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario.
Di
diverso avviso è sempre stata la giurisprudenza amministrativa la
quale, anche sulla scorta della normativa comunitaria in materia
di soggetti tenuti ad applicare le procedure dell’evidenza
pubblica per l’aggiudicazione di gare di appalto, e sottolineando
che gli organismi che perseguono finalità pubblicistiche hanno
natura pubblica, ha osservato che dottrina e giurisprudenza, dopo
un iniziale contrasto tra i fautori della tesi privatistica delle
s.p.a. a partecipazione pubblica e quelli della tesi pubblicistica,
si sono orientate nel senso di escludere che la semplice veste
formale di s.p.a. sia idonea a trasformare la natura pubblicistica
di soggetti che, in mano al controllo maggioritario dell’azionista
pubblico, continuano ad essere affidatari di rilevanti interessi
pubblici.
Questa
tesi, oggi prevalente, si riflette direttamente:
-
sul
metodo da seguire per la ricerca dei soci;
-
sui
controlli pubblicistici che devono essere esercitati sulla
gestione della società;
-
sull’individuazione
dell’organo giurisdizionale competente in caso di
controversie;
-
sulla
qualificazione degli amministratori (privati amministratori,
pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio), non
ininfluente nel tratto penalistico (reati contro la pubblica
amministrazione) o giuscontabilistico (responsabilità amministrativa
e contabile).
La
ricerca dei soci
Si
è detto che la società mista può costituirsi soltanto per
iniziativa di un’amministrazione pubblica. Il legislatore distingue,
inoltre, tra società mista con capitale pubblico maggioritario e
società mista con capitale pubblico minoritario. Per quest’ultima
situazione, il D.P.R. 16 settembre 1996, n. 533 (“Regolamento
sulla costituzione delle società miste in materia di servizi
pubblici degli enti territoriali”) ha dettato norme puntuali per
la ricerca del socio o dei soci privati di maggioranza.
La
mancanza di una normativa per la costituzione di una società mista
con capitale pubblico maggioritario aveva fatto ritenere che, per la
stessa composizione del capitale, la scelta degli altri soci privati
potesse avvenire senza procedure concorsuali. La giurisprudenza è
stata ed è di avviso contrario. Essa ha infatti chiarito che la
scelta del socio nella formazione delle società di capitali
preordinate alla gestione di pubblici servizi deve seguire le
procedure ad evidenza pubblica, non soltanto nel caso in cui la
partecipazione pubblica al capitale sia minoritaria, ma anche
quando l’ente partecipi alla società in posizione dominante.
La
ragione del chiarimento risiede nel fatto che i principi
concorrenziali devono considerarsi immanenti nell’ordinamento
tutte le volte in cui si debba effettuare la scelta di un operatore
privato che, tra l’altro, deve essere un socio imprenditore per
svolgere attività per conto e nell’interesse della pubblica
amministrazione.
I
controlli pubblicistici sulla gestione
L’art.
100, comma 2, Cost. dispone che la Corte dei conti «partecipa, nei
casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo della
gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce in via
ordinaria», e prevede l’obbligo, per la stessa Corte, di riferire
«direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito».
La
legge 21 marzo 1958, n. 259 («Partecipazione della Corte dei conti
al controllo sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato
contribuisce in via ordinaria»), ha dato attuazione a questo
precetto costituzionale, individuando e disciplinando due tipi di
controllo: il primo riferito agli enti indicati nella stessa legge
cui lo Stato o un'altra amministrazione pubblica conferiscano
contributi con carattere di periodicità da oltre un biennio, o attribuiscano
un potere impositivo, e il secondo riguardante gli enti pubblici nei
cui confronti i predetti soggetti « contribuiscano con apporto al
patrimonio in capitale, servizi o beni, ovvero mediante concessione
di garanzia finanziaria».
Nell’una
e nell’altra
ipotesi, la Corte è tenuta a riferire alle Camere i risultati del
controllo eseguito. La vigenza della legge n. 259/1958 è stata
confermata dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20 («Disposizioni in
materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti»).
Tenendo conto della seconda ipotesi configurata dalla legge n.
259/1958, si può concludere che la Corte dei conti deve esercitare
il proprio controllo anche sulle società miste, secondo le norme
del proprio ordinamento.
La
giurisdizione per
le società miste
Per
la sua natura speciale, il tema della giurisdizione sulle
controversie nelle quali sia parte una società mista deve essere
affrontato da un triplice punto di vista:
-
avendo
riguardo alla società mista nel momento in cui agisce in qualità
di pubblica amministrazione, nel qual caso la giurisdizione
compete al giudice amministrativo;
-
guardando
alla società mista come soggetto disciplinato anche da norme
del diritto comune, nel qual caso la giurisdizione compete al
giudice ordinario;
-
tenendo
conto delle responsabilità pubblicistiche che possono essere
addebitate a coloro che operano nella società mista, con un
rapporto di servizio, nel qual caso la giurisdizione compete
alla Corte dei conti.
La
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
La
questione della competenza giurisdizionale quando la società mista
agisce in qualità di pubblica amministrazione trova il proprio
riferimento nell’art. 33 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80. Nella
stesura sostitutiva introdotta dall’art. 7 della legge 21luglio
2000, n. 205 (“Disposizioni in materia di giustizia
amministrativa”), la norma dispone che «Sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le
controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli
afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul
mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle
telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995,
n. 481.
Tali
controversie sono, in particolare, quelle:
-
concernenti
l’istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori
di pubblici servizi, ivi comprese le aziende speciali, le
istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione
urbana;
-
tra
le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di
pubblici servizi;
-
in
materia di vigilanza e di controllo nei confronti di gestori di
servizi pubblici;
-
aventi
ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di
lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti
all’applicazione delle norme comunitarie
o della normativa nazionale o regionale;
-
riguardanti
le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura
patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi
comprese quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario
nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei
rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle
controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla
persona o a cose e delle controversie in materia di invalidità».
La
stessa legge n. 205/2000 stabilisce all’art. 6 che: «Sono
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori,
servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta
del contraente o del socio, all’applicazione della normativa
comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica
previsti dalla normativa statale o regionale». Prima
dell’emanazione di queste norme, non era pacifico se le
controversie nelle quali fosse parte una società mista dovessero
essere devolute al giudice ordinario o amministrativo. Va anzi detto
che, sulla base di ripetute pronunce della Corte di Cassazione che
ritenevano la società mista soggetto di natura privatistica,
prevaleva la tesi della competenza del giudice ordinario.
Le
evoluzioni interpretative intervenute in ordine alla natura
giuridica delle società miste, in special modo tenendo conto della
legislazione comunitaria che ha introdotto la figura
dell’organismo pubblico, hanno facilitato l’ipotesi poi
consolidatasi nel decreto legislativo n. 80/1998 e nella legge n.
205/2000.
Tenendo
conto di quanto stabilito dalle norme citate, i casi di intervento
del giudice amministrativo possono riguardare le procedure per la
scelta dei soci ai fini della costituzione della società e le
procedure di gara poste in essere dalla società mista per
l’acquisto di beni e di servizi, ovvero per l’esecuzione di
opere.
Il
giudice amministrativo ha, inoltre, competenza esclusiva quando la
società sia costituita soltanto tra soggetti pubblici, e anche nel
caso in cui la controversia riguardi l’atto costitutivo, a
differenza di quanto avviene quando alla composizione del capitale
partecipino soggetti pubblici e privati.
La
doppia giurisdizione
Il
duplice riferimento normativo della società mista porta, tuttavia,
a dover configurare una duplice giurisdizione per i fatti che la
vedono protagonista. Viene qui in causa la distinzione tra interesse
legittimo e diritto soggettivo, per cui in presenza del primo la
competenza è del giudice amministrativo, mentre per il secondo la
competenza è del giudice ordinario.
Si
è, inoltre, affermato che l’art. 33, lett. a), D.Lgs. n. 80/1998
(non modificato sul punto dalla legge n. 205/ 2000, e quindi
esattamente reintrodotto da tale legge a seguito di pronuncia di
incostituzionalità), nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo le controversie concernenti, tra l’altro,
l’istituzione, la modificazione o l’estinzione di soggetti
gestori di pubblici servizi, ivi comprese le società di capitali,
va riferito alle sole procedure pubblicistiche (appunto di
istituzione, modificazione o estinzione), dovendosi escludere ogni
interferenza del giudice predetto in questioni di stretta attinenza
di diritto societario. Esulano pertanto dall’ambito del potere
cognitorio del giudice amministrativo le controversie privatistiche
inerenti alle vicende del contratto sociale.
Qualificazione
e
responsabilità degli operatori
della
società mista
Un
ulteriore problema riguarda la qualificazione dei soggetti che
operano nella società mista e le responsabilità loro imputabili in
funzione dell’attività svolta.
La
prima delle questioni si collega al nuovo modo di concepire
l’attività amministrativa pubblica. Il criterio soggettivo, per
cui è pubblica l’attività amministrativa posta in essere da
soggetti pubblici, è stato infatti sostituito dal criterio
oggettivo, in base al quale è pubblica l’attività che consiste
nello svolgimento di una pubblica funzione o di un pubblico
servizio, a prescindere dal soggetto che la compie, che può essere
indifferentemente pubblico o privato.
Ciò
che rileva è la funzionalizzazione dell’attività al
soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale. Se così
è, anche l’attività della società mista è attività pubblica
in quanto finalizzata all’esercizio di un servizio pubblico, a
prescindere dal fatto che, per talune questioni, faccia riferimento
a normative di ordine civilistico.
Sul
piano normativo, queste considerazioni trovano punti di riferimento
inequivocabili nel già richiamato art. 33 del D.Lgs. n. 80/1998,
come ripreso dalla legge n. 205/2000, laddove si fa riferimento a «gestori
comunque denominati di pubblici servizi».
L’introduzione
della nozione oggettiva di attività amministrativa reca alcune
conseguenze non indifferenti sia per quanto concerne
l’acquisizione delle qualifiche di pubblico ufficiale o di
incaricato di pubblico servizio e, quindi, per le responsabilità
che possono fare carico a queste due posizioni, sia relativamente al
concetto di rapporto di servizio.
Se,
come prevede il Codice penale agli artt. 357 e 358, è pubblico
ufficiale colui che esercita una pubblica funzione, mentre è
incaricato di pubblico servizio colui che presta un pubblico
servizio, assumono questa qualificazione tutti coloro che agiscono
in nome e per conto di un ente (pubblico o privato) che svolga una
pubblica funzione o un servizio pubblico. Rientrano, quindi, in
queste categorie coloro che operano per una società mista.
Per
quanto concerne il rapporto di servizio, non è necessario che
esista un vero e proprio rapporto di impiego o di dipendenza, perché
ciò che conta è lo svolgimento di un’attività amministrativa
funzionale al conseguimento delle finalità pubbliche
dell’amministrazione per la quale si opera.
In
sintesi, come ha sottolineato la giurisprudenza, per affermare
l’esistenza di un rapporto di servizio tra un agente e
un’amministrazione pubblica, è sufficiente che esista un rapporto
di obbligo giuridico (che è, quindi, anche il caso degli operatori
delle società miste).
Se,
dunque, coloro che operano, nell’ambito di una società mista, con
un rapporto di servizio nei termini appena descritti, assumono la
veste di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, ne
consegue che le loro responsabilità sono le stesse che possono fare
capo a queste figure. Giusto, quindi, anche quanto previsto
dall’art. 28 Cost., in caso di comportamento non conforme alla
legge essi incorrono nelle responsabilità penale, civile e
amministrativa. Essi incorrono inoltre nella responsabilità
contabile qualora, così come previsto per i dipendenti pubblici,
avendo maneggio di denaro o di valori, ne facciano un uso non
conforme a legge (art. 74, R.D. n. 2440/1923 legge di contabilità
generale dello Stato; art. 55, D.Lgs. n. 165/2001 - Testo unico sul
pubblico impiego).
L’art.
103 Cost. recita: «La Corte dei conti ha giurisdizione in materia
di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge».
Poiché
le responsabilità amministrativa e contabile riguardano fatti
afferenti all’area contabile pubblica, sussiste una giurisdizione
esclusiva della Corte dei conti al riguardo, esperibile nei
confronti di tutti coloro che, operando con un rapporto di servizio
nei termini prima precisati presso un organismo pubblico, cagionino
un danno (art. 52, R.D. n. 1214/1934 - «Testo unico delle
leggi sull’ordinamento della Corte dei conti»).
In
altre parole, la giurisdizione del giudice contabile sussiste tutte
le volte in cui tra l’autore del danno e l’amministrazione o
ente pubblico danneggiato sia ravvisabile un rapporto, non solo di
impiego in senso proprio e ristretto, ma anche di servizio, per
quest’ultimo intendendosi la sussistenza di una relazione
funzionale caratterizzata dall’inserimento del soggetto nell’iter
procedimentale o nell’apparato organico dell’ente, tale da
rendere il primo compartecipe dell’attività amministrativa del
secondo.
Considerazioni
conclusive
Quanto
esposto in merito ai tratti pubblicistici che si rinvengono nella
società mista, è sufficiente a dimostrare come lo schema
societario perda le sue caratteristiche tradizionali e assuma, in
questi casi, una posizione di neutralità.
Ulteriori
elementi rafforzativi in questo senso deriverebbero anche dalla
disamina degli atti occorrenti per pervenire alla costituzione della
società, per ragioni di spazio qui non consentita.
Non rientra negli scopi dello scritto l’esame degli elementi di
natura privatistica rinvenibili nella società mista.
Anche da ciò, peraltro, potrebbero derivare ulteriori conferme in
merito alla fondatezza dell’assunto di cui si è dibattuto. |