Articoli

IL SOLE – 24 ORE – Martedì 4 Febbraio 1992 – N. 34 – PAGINA 29
Finanza italiana

Obbligazioni fuori gioco per un Codice fuori tempo

di Marco Levis
e Marco Malvicini

La maggior parte dei bilanci delle società italiane relativi al 1990 evidenzia che i veri finanziatori delle imprese, oltre gli azionisti, sono sempre più gli operatori del credito (con i numerosi strumenti a loro disposizione), i dipendenti (attraverso fondi trattamento di fine rapporto spesso superiori al capitale sociale) e i fornitori (mediante dilazioni di pagamento ormai al di fuori di qualsiasi logica contrattuale).
É invece pressoché sparito il ricorso al prestito obbligazionario a causa degli ostacoli posti al suo espandersi dalle normative civilistica e fiscale.
Per ciò che concerne gli aspetti civilistici, l'art. 2410, 1° comma del codice civile prevede che non si possano emettere obbligazioni per un importo superiore al capitale sociale versato ed esistente secondo l'ultimo bilancio approvato. Tale disposizione, che nell'attuale stesura si rifà al codice di commercio del 1865 venne all'epoca introdotta per garanzia dei tassi, come riflesso alla responsabilità limitata degli azionisti. Si voleva, in pratica, evitare un indebitamento che non fosse garantito, almeno formalmente, da una corrispondente copertura patrimoniale.
Oggi la dottrina e la giurisprudenza in materia non considerano più l'ammontare del capitale sociale come una garanzia per i terzi creditori, ma piuttosto come una soglia patrimoniale fissata dal legislatore per consentire l'esercizio dell'impresa sotto una determinata forma societaria, ovvero in relazione a specifici oggetti sociali.
A conferma di questo orientamento troviamo le disposizioni contenute negli articoli 2446 e 2447 del codice civile, le quali, in presenza di perdite societarie, prevedono una particolare procedura atta a garantire i terzi in cui il termine "capitale" è inteso nel senso più ampio di capitale sociale più riserve.
La normativa civilistica in oggetto non trova d'altra parte riscontro negli ordinamenti stranieri (Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti), dove non sono previsti minimi di capitale sociale tali da costituire una garanzia per i terzi e tantomeno limiti all'emissione di obbligazioni da parte delle società di capitali.
Stabilita la funzione primaria del capitale sociale e considerato che, anche nelle fattispecie di maggior rischio e disagio per i creditori, la garanzia voluta dal legislatore è costituita dal capitale netto, decadono le motivazioni dei ristretti limiti di importo dettati per l'emanazione di prestiti obbligazionari.
Allo stato attuale, l'omologazione da parte del Tribunale dell'assemblea straordinaria che delibera l'emissione obbligazionaria, non è soggetta ad alcun giudizio di merito, bensì a un mero controllo di legittimità formale e sostanziale. Piuttosto che limitare lo strumento obbligazionario dal punto di vista quantitativo, sarebbe più opportuno dettare sostanziali criteri qualitativi per ciascuna emissione, subordinandone, per esempio, l'omologazione a decreto del ministero del Tesoro, cosi come già avviene per le emissioni di importo qualificato. (Legge 4/6/85 n. 281).
Inoltre, nel sistema italiano, all'interno della sommatoria capitale-riserve, che determina l'entità complessiva dei mezzi propri, si rileva la tendenza a tenere basso il primo addendo, più rigidamente disciplinato e a operare sul secondo che gode di un trattamento meno vincolante. Ciò contribuisce a far si che l'emanazione di prestiti obbligazionari rapportati al solo capitale sociale risulti quanto mai inadeguata. II trattamento fiscale, peraltro ha sempre condizionato fortemente l'appetibilità di un prestito obbligazionario di emittente privato in rapporto alle altre possibili scelte di investimento accessibili al risparmiatore. Quanto detto risulta più che mai evidente in questo particolare momento, in cui il mercato del reddito fisso appare assai squilibrato dall'abnorme quantità di titoli del debito pubblico e dalle numerose emissioni che godono di agevolazioni fiscali.
Il nostro sistema tributario prevede, in linea generale, la tassazione del 30% a titolo di imposta per tutti gli interessi percepiti da persone fisiche, inclusi gli interessi obbligazionari. Senza intervenire su questo raro caso di omogeneità di aliquote, si potrebbe fissare un tetto massimo di investimento non soggetto a ritenuta, vale a dire un ammontare di reddito di capitale non imponibile.
In tal senso, riscontriamo un recente provvedimento adottato in Germania, in base al quale saranno tassati a titolo di imposta, con un'aliquota del 25%, unicamente i redditi di capitale eccedenti la somma di 6mila marchi (circa 4,5 milioni di lire), che viene raddoppiata per le persone coniugate, rendendo in tal modo esente da imposta il rendimento di circa 100 milioni di lire investiti da una famiglia.
Il riequilibrio della struttura finanziaria delle imprese esige una pluralità di strumenti atti a fornire, direttamente o indirettamente, capitale di rischio e ad articolare maggiormente la provvista di capitale di credito. Operando alcune variazioni nelle discipline civilistica e fiscale attualmente in vigore, si conseguirebbe una migliore interazione fra risparmiatori e sistema imprenditoriale.
In particolare, una rinnovata vitalità dello strumento obbligazionario consentirebbe alle imprese di rivolgersi in modo diretto e alternativo al mercato dei capitali, affrancandole parzialmente dall'intermediazione degli enti creditizi.

Scarica documento