di Marco Levis
e Marco Malvicini
La maggior parte dei bilanci delle
società italiane relativi al 1990 evidenzia che i veri finanziatori
delle imprese, oltre gli azionisti, sono sempre più gli operatori
del credito (con i numerosi strumenti a loro disposizione), i
dipendenti (attraverso fondi trattamento di fine rapporto spesso
superiori al capitale sociale) e i fornitori (mediante dilazioni di
pagamento ormai al di fuori di qualsiasi logica contrattuale).
É invece pressoché sparito il ricorso al prestito obbligazionario
a causa degli ostacoli posti al suo espandersi dalle normative
civilistica e fiscale.
Per ciò che concerne gli aspetti civilistici, l'art. 2410, 1°
comma del codice civile prevede che non si possano emettere
obbligazioni per un importo superiore al capitale sociale versato ed
esistente secondo l'ultimo bilancio approvato. Tale disposizione,
che nell'attuale stesura si rifà al codice di commercio del 1865
venne all'epoca introdotta per garanzia dei tassi, come riflesso
alla responsabilità limitata degli azionisti. Si voleva, in
pratica, evitare un indebitamento che non fosse garantito, almeno
formalmente, da una corrispondente copertura patrimoniale.
Oggi la dottrina e la giurisprudenza in materia non considerano più
l'ammontare del capitale sociale come una garanzia per i terzi
creditori, ma piuttosto come una soglia patrimoniale fissata dal
legislatore per consentire l'esercizio dell'impresa sotto una
determinata forma societaria, ovvero in relazione a specifici
oggetti sociali.
A conferma di questo orientamento troviamo le disposizioni contenute
negli articoli 2446 e 2447 del codice civile, le quali, in presenza
di perdite societarie, prevedono una particolare procedura atta a
garantire i terzi in cui il termine "capitale" è inteso
nel senso più ampio di capitale sociale più riserve.
La normativa civilistica in oggetto non trova d'altra parte
riscontro negli ordinamenti stranieri (Belgio, Francia, Germania,
Gran Bretagna, Stati Uniti), dove non sono previsti minimi di
capitale sociale tali da costituire una garanzia per i terzi e
tantomeno limiti all'emissione di obbligazioni da parte delle
società di capitali.
Stabilita la funzione primaria del capitale sociale e considerato
che, anche nelle fattispecie di maggior rischio e disagio per i
creditori, la garanzia voluta dal legislatore è costituita dal
capitale netto, decadono le motivazioni dei ristretti limiti di
importo dettati per l'emanazione di prestiti obbligazionari.
Allo stato attuale, l'omologazione da parte del Tribunale
dell'assemblea straordinaria che delibera l'emissione
obbligazionaria, non è soggetta ad alcun giudizio di merito, bensì
a un mero controllo di legittimità formale e sostanziale. Piuttosto
che limitare lo strumento obbligazionario dal punto di vista
quantitativo, sarebbe più opportuno dettare sostanziali criteri
qualitativi per ciascuna emissione, subordinandone, per esempio,
l'omologazione a decreto del ministero del Tesoro, cosi come già
avviene per le emissioni di importo qualificato. (Legge 4/6/85 n.
281).
Inoltre, nel sistema italiano, all'interno della sommatoria
capitale-riserve, che determina l'entità complessiva dei mezzi
propri, si rileva la tendenza a tenere basso il primo addendo, più
rigidamente disciplinato e a operare sul secondo che gode di un
trattamento meno vincolante. Ciò contribuisce a far si che
l'emanazione di prestiti obbligazionari rapportati al solo capitale
sociale risulti quanto mai inadeguata. II trattamento fiscale,
peraltro ha sempre condizionato fortemente l'appetibilità di un
prestito obbligazionario di emittente privato in rapporto alle altre
possibili scelte di investimento accessibili al risparmiatore.
Quanto detto risulta più che mai evidente in questo particolare
momento, in cui il mercato del reddito fisso appare assai
squilibrato dall'abnorme quantità di titoli del debito pubblico e
dalle numerose emissioni che godono di agevolazioni fiscali.
Il nostro sistema tributario prevede, in linea generale, la
tassazione del 30% a titolo di imposta per tutti gli interessi
percepiti da persone fisiche, inclusi gli interessi obbligazionari.
Senza intervenire su questo raro caso di omogeneità di aliquote, si
potrebbe fissare un tetto massimo di investimento non soggetto a
ritenuta, vale a dire un ammontare di reddito di capitale non
imponibile.
In tal senso, riscontriamo un recente provvedimento adottato in
Germania, in base al quale saranno tassati a titolo di imposta, con
un'aliquota del 25%, unicamente i redditi di capitale eccedenti la
somma di 6mila marchi (circa 4,5 milioni di lire), che viene
raddoppiata per le persone coniugate, rendendo in tal modo esente da
imposta il rendimento di circa 100 milioni di lire investiti da una
famiglia.
Il riequilibrio della struttura finanziaria delle imprese esige una
pluralità di strumenti atti a fornire, direttamente o
indirettamente, capitale di rischio e ad articolare maggiormente la
provvista di capitale di credito. Operando alcune variazioni nelle
discipline civilistica e fiscale attualmente in vigore, si
conseguirebbe una migliore interazione fra risparmiatori e sistema
imprenditoriale.
In particolare, una rinnovata vitalità dello strumento
obbligazionario consentirebbe alle imprese di rivolgersi in modo
diretto e alternativo al mercato dei capitali, affrancandole
parzialmente dall'intermediazione degli enti creditizi. |