IL SOLE 24 ORE
Martedì 6 Ottobre 1992 N. 273 PAGINA
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Norme e tributi |
Una guerra di retroguardia contro
le nuove concessioni
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Con l'approvazione della legge
delega n. 657/1986, il Parlamento aveva inteso affidare al Governo
il compito di riorganizzare radicalmente l'intero settore della
riscossione dei tributi. Tale riorganizzazione si sarebbe attuata
attraverso l'abrogazione della disciplina preesistente e
l'assunzione diretta da parte dello Stato del Servizio di
riscossione dei tributi, servizio che sarebbe stato espletato da
Concessionari in possesso di determinati requisiti, preposti agli
Ambiti di riscossione in cui sarebbe stato diviso il territorio
nazionale.
La riforma sarebbe avvenuta per gradi: durante una prima fase, della
durata di cinque anni, gli Ambiti sarebbero stati più numerosi per
poi giungere, al termine di questa fase preliminare a far coincidere
gli Ambiti medesimi con il territorio delle varie province.
Sarebbero così scomparse le vecchie esattorie, circa 3.000, gestite
da privati appaltatori e aventi un territorio che, di norma, non si
estendeva oltre a quello del Comune di competenza. Con l'avvio della
riforma questo numero, gia nei periodo transitorio, sarebbe stato
radicalmente ridotto.
In base alla delega ricevuta il Governo emanava, pertanto, il Dpr 28
gennaio 1988 n. 43 con il quale istituiva il nuovo servizio di
riscossione dei tributi, stabilendone l'assetto organizzativo sia
centrale, sia periferico.
Infine, con un decreto del 4 ottobre 1989, il ministro delle Finanze
provvedeva alla determinazione degli Ambiti.
A questo punto, molti degli ex esattori, cui non era stato
attribuito alcun ambito, hanno proposto un coacervo di ricorsi
avanti ai rispettivi Tribunali amministrativi regionali.
Con un primo ordine di ricorsi è stato impugnato il Dm 4 ottobre
1989 con il quale erano stati individuati gli Ambiti territoriali
durante il periodo transitorio, sostenendo una pretesa illogicità
del provvedimento in relazione al decreto delegato e alla legge
delega. Secondo i ricorrenti, in sostanza, nella determinazione
degli Ambiti il Governo non avrebbe rispettato la gradualità voluta
dal legislatore nell'attuazione della riforma esattoriale. Con un
secondo ordine di ricorsi è stato invece impugnato il Dm 1/7014 del
21 dicembre 1989, con il quale il ministro delle Finanze ha
conferito ai nuovi aggiudicatari gli Ambiti territoriali individuati
dal decreto precedente.
Tali provvedimenti di assegnazione, secondo i ricorrenti, sarebbero
stati inficiati da una pretesa illegittimità e da una altrettanto
pretesa illogicità, in quanto il servizio non era stato assegnato
ai soggetti ricorrenti, che si ritenevano in possesso di maggiori
titoli rispetto a coloro ai quali l'assegnazione era stata concessa.
Tra i primi Tribunali amministrativi che si sono pronunciati sulla
questione rientra il Tar di Lombardia, il quale ha ritenuto che la
legge avrebbe «previsto obbligatoriamente una fase di avvio della
riforma, da gestire secondo criteri speciali e transitori diversi da
quelli ordinari».
In tale fase la legge avrebbe altresì stabilito il criterio di
determinazione degli Ambiti territoriali nel primo quinquennio,
fissando rigorosi criteri oggettivi, ma tenendo anche conto delle
preesistenti situazioni soggettive. Tale periodo di avviamento,
secondo il Tar, sarebbe stato preordinato a evitare eccessive e
traumatiche espulsioni immediate di operatori dal mercato. Alla luce
di queste considerazioni, il Tar della Lombardia riteneva quindi
illegittimo l'operato dell'amministrazione laddove assumeva che -
anche nel regime transitorio gli Ambiti territoriali dovevano avere,
di norma, la dimensione provinciale prevista per il regime
definitivo.
Lo stesso Tar, di conseguenza, annullava il decreto ministeriale di
determinazione degli Ambiti e il decreto di conferimento delle
concessioni, ritenuto illegittimo in via derivata. Attraverso la
decisione del Tar della Lombardia le società aggiudicatarie delle
nuove concessioni proponevano ricorso avanti al Consiglio di Stato
il quale, in sede giurisdizionale, con decisione del 17 marzo 1992,
giudicava infondati i ricorsi proposti avverso la sentenza del Tar,
disponendone la conferma.
Contro tale decisione le nuove concessionarie presentavano allora
ricorso avanti le sezioni unite civili della Corte di cassazione.
La decisione del Consiglio di Stato recepisce integralmente le
argomentazioni svolte dai giudici di primo grado. I punti focali di
entrambe le decisioni sono due: l'interpretazione delle disposizioni
introduttive della disciplina transitoria prevista dall'articolo 4
della legge 657 e dal titolo VIII del decreto delegato 43/88 e la
particolare chiave di lettura del concetto di disciplina transitoria
e del rapporto in cui essa si pone rispetto all'ottimale
realizzazione dell'assetto definitivo.
Ciò premesso, si rileva che la tesi secondo cui l'amministrazione,
in vigenza del periodo transitorio, avrebbe dovuto individuare
ambiti territoriali di dimensioni ridotte e di numero più elevato
al fine di salvaguardare le gestioni precedenti, appare viziata da
illogicità.
Non è pensabile, infatti. che un'ampia e radicale riforma, quale
anche i giudicanti riconoscono essere quella introdotta dalle norme
indicate, possa tradursi in una prima fase transitoria a scartamento
ridotto al fine dichiarato di privilegiare i precedenti gestori.
Il sistema transitorio era stato previsto, in via facoltativa, come
possibilità di disciplina qualora l'amministrazione - a suo
insindacabile giudizio - si fosse trovata di fronte a particolari
situazioni o esigenze da salvaguardare, ma non certo come un obbligo
da rispettare senza alcuna riserva.
In sostanza l'articolo 114 prevede il sistema transitorio come
deroga - e quindi come provvedimento eccezionale - che può venire
adottato soltanto in presenza di specifiche circostanze, ma il
decreto delegato non rinuncia sicuramente alla possibilità di
immediata attuazione del meccanismo normale, ove ciò appaia
possibile.
I ricorrenti hanno ritenuto, quindi, che i giudici amministrativi
non abbiano valutato correttamente la natura e l'estensione dei
poteri che la legge delega e il decreto delegato hanno conferito
all'amministrazione delle finanze per la determinazione degli
ambiti.
E questi sono indubbiamente poteri di organizzazione di un servizio
pubblico nuovo, rispetto al quale nessun soggetto può ritenersi
titolate di situazioni di interesse legittimo. La scelta su come
istituire e organizzare il nuovo servizio è stata rimessa a una
potestà ampiamente discrezionale dell'amministrazione finanziaria e
prescinde da qualsiasi considerazione sulle situazioni giuridiche
preesistenti in capo ai cessati esattori le cui concessioni,
attribuite in vigenza del precedente regime, risultano totalmente
decadute per effetto dell'entrata in vigore della nuova disciplina.
Questa discrezionalità attribuita all'amministrazione dalla legge
delega e dal decreto delegato nel riorganizzare radicalmente
l'intero servizio di riscossione dei tributi, unita alla conseguente
insussistenza della titolarietà di un interesse legittimo in capo
alle società originariamente ricorrenti avanti al Tar della
Lombardia, determinano l'assoluto difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo in merito alla controversia in questione.
E vero che ai fini dell'attribuzione delle nuove concessioni
l'articolo 115 del Dpr 43/1988 prende in considerazione le posizioni
di chi «abbia gestito in proprio, anche sotto diversa forma
societaria o attraverso i propri soci, il servizio esattoriale»; è
altrettanto vero, pero, che tale articolo e comunque ben lontano
dall'affermare che esista in ogni caso un titolo per l'affidamento
della nuova concessione, rimanendo sempre da valutarsi il
"rilevante impegno" e la "particolare
efficienza" della gestione e dovendosi altresì valutare le
domande degli altri aspiranti alla concessione.
In ordine alla prima fase procedurale (affidamento delle
concessioni) nessun titolo di legittimazione è invece previsto a
favore di alcun soggetto e ciò perché i provvedimenti sono
adottati nell'interesse generale e tenuto conto delle esigenze
dell'Amministrazione, senza la considerazione di alcun interesse
individuale, se non in via di mero fatto.
D'altronde, il principio secondo cui non sono ravvisabili interessi
qualificati nei confronti dei provvedimenti di organizzazione della
pubblica amministrazione è stato espressamente riconosciuto
dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella decisione 26
gennaio 1971 n. 1.
Sulla base delle considerazioni che precedono sembra pertanto
possibile affermare che i ricorsi contro la determinazione degli
ambiti presentati dai cessati esattori sono inammissibili per
difetto di legittimazione dal che consegue l'insussistenza della
pretesa illegittimità derivata dai provvedimenti di attribuzione
delle concessioni che sono stati adottati dall'amministrazione
nell'attuare la prima fase della riforma.
Marco Levis
Marco Malvinci |
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