Fra le novità più rilevanti contenute nella
manovra varata dal Governo, rientra la modifica della tassazione
delle fusioni societarie, attraverso l'applicazione dell'imposta
fissa di registro in luogo di quella proporzionale. Di recente, la
corte di Giustizia della Comunità europea si era pronunciata
sull'argomento, in relazione al contrasto esistente fra la
normativa francese in vigore fino al 15 ottobre 1993 e la
disciplina comunitaria applicabile dall'1 gennaio 1986. La
sentenza del 13 febbraio scorso aveva ribadito:
_ l'inapplicabilità dell'imposta sui conferimenti alle operazioni
di aumento del capitale sociale realizzate mediante l'apporto
della totalità del patrimonio di una società ad un'altra;
_ l'effetto retroattivo (alla data in cui gli Stati membri
avrebbero dovuto conformarsi) dell'interpretazione di una
disposizione comunitaria da parte della Corte di Giustizia. La
sentenza della corte di Giustizia rivestiva particolare importanza
anche per l'Italia, perché la normativa interna in materia di
imposta di registro sulle operazioni di fusione, era da molti anni
in netto contrasto con la disciplina comunitaria espressa dalla
direttiva 17 luglio 1969 n. 335 modificata, da ultimo, con la
direttiva 10 giugno 1985 n. 303.
In particolare:
_ le disposizioni che regolamentavano le operazioni di fusione
realizzate in Italia (articolo 50 Dpr 26 aprile 1986 n. 131 e
articolo 4 della Tariffa, parte prima)
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prevedevano l'applicazione dell'imposta
proporzionale di registro nella misura dell'1%, commisurata al
patrimonio netto della società incorporata, ovvero della società
risultante dalla fusione;
_ la normativa comunitaria prevedeva invece che gli Stati membri
potessero applicare l'imposta sui conferimenti (con un'aliquota
non superiore all' 1%), soltanto alle operazioni sul capitale
diverse da quelle che realizzavano un raggruppamento di organismi
produttivi. Fra queste ultime rientravano le operazioni di
fusione, per le quali era previsto un regime di esenzione
dall'imposta sui conferimenti. Con la sentenza della Corte di
giustizia e l'immediato adeguamento della normativa interna a
quella comunitaria in materia di imposta di registro, si e tornati
a parlare della "disapplicazione". Come noto, il diritto
interno e le regole comunitarie sono coordinati sulla base della
ripartizione di competenze dettata dal Trattato istitutivo delle
Comunità. Tale coordinamento prevede che il diritto interno
arretri di fronte alle regole comunitarie chiare e precise, che
siano in grado di soddisfare il requisito dell'immediata
applicabilità richiesto dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia. Da ciò deriva che, nel campo riservato alla loro
competenza, le disposizioni comunitarie direttamente applicabili
prevalgono sulle norme nazionali. Più precisamente, l'eventuale
conflitto tra il diritto comunitario direttamente applicabile e il
diritto interno, conduce alla disapplicazione di quest'ultimo, pur
nei limiti entro i quali le competenze comunitarie sono
legittimate a svolgersi.
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In relazione a quanto sopra, con sentenza 11
luglio 1989 n. 389, la stessa corte Costituzionale ha avuto modo
di precisare che tutti i soggetti competenti nel nostro
ordinamento a dare esecuzione alle leggi e agli atti aventi forza
o valore di legge – tanto se dotati di poteri di dichiarazione
del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di
tali poteri, come gli organi amministrativi – sono
giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne
incompatibili con quelle comunitarie.
D'altra parte, come ha affermato la Corte di giustizia nella
sentenza del 22 giugno 1989, sarebbe contraddittorio statuire che
i singoli possano invocare le disposizioni di una direttiva
davanti ai giudici nazionali, e, al tempo stesso. ritenere che
l'Amministrazione non sia tenuta ad applicare le disposizioni
della direttiva stessa, disapplicando le norme nazionali ad essa
non conformi. Ovviamente, la disapplicazione non e mai causa di
estinzione o di modificazione delle disposizioni che ne sono
oggetto.
Permane quindi sempre l'esigenza di apportare le necessarie
modificazioni alla disciplina interna incompatibile con quella
comunitaria, come è avvenuto, con la manovra del Governo, per
l'imposta proporzionale di registro sulle operazioni di fusione.
Se sul piano dell'ordinamento nazionale tale esigenza si ricollega
al principio della certezza, sul piano sovranazionale essa
rappresenta una garanzia al principio della prevalenza del diritto
comunitario su quello interno.
Marco Levis |